
L’apnea in sicurezza è tra le prime competenze che vengono stimolate nel metodo SwimBabySwim: seconda al contatto con l’acqua e dopo un ambientamento su dispositivi di galleggiamento per garantire che il piccolo sia a suo agio verranno fatti vari esercizi con il genitore per stimolarlo ad attivare il riflesso di apnea. Questa capacità di norma la sviluppiamo con gli anni, o meglio, la rimettiamo in moto con gli anni perché è un riflesso che ha varie fasi, analizziamole.
L’apnea è una capacità innata?
No, l’apnea, intesa come la capacità di trattenere il respiro volontariamente per un periodo prolungato e in sicurezza, non è una capacità innata completamente sviluppata nell’uomo adulto, ma ha radici in alcuni riflessi innati presenti nei neonati e può essere notevolmente migliorata con l’allenamento.
Ecco alcuni punti da considerare:
- Riflesso di immersione (o riflesso di apnea del neonato): I neonati hanno un riflesso innato che li porta a chiudere le vie aeree (gola) e a trattenere il respiro quando il loro viso viene a contatto con l’acqua (specialmente fredda). Questo riflesso rallenta anche il battito cardiaco e ridistribuisce il sangue agli organi vitali. Questo meccanismo di difesa è una traccia della nostra evoluzione, ma tende ad attenuarsi con la crescita e non è sufficiente per praticare l’apnea in modo consapevole e sicuro.
- Capacità di trattenere il respiro: Tutti gli esseri umani sono in grado di trattenere il respiro per un certo periodo di tempo. Questa è una funzione volontaria che dipende da fattori come la capacità polmonare, il metabolismo, il livello di allenamento e la tolleranza all’accumulo di anidride carbonica nel sangue.
- Apnea sportiva e allenamento: L’apnea come disciplina sportiva o ricreativa richiede un allenamento specifico e molto rigoroso. Gli apneisti imparano a controllare il respiro, a ottimizzare l’uso dell’ossigeno, a gestire la pressione e a rilassare il corpo e la mente per aumentare i tempi di immersione e le profondità raggiunte. Questo include tecniche di respirazione pre-apnea, compensazione, rilassamento e gestione delle sensazioni fisiologiche.
- Differenze individuali: Esistono differenze significative tra le persone nella capacità di trattenere il respiro, anche senza allenamento. Queste differenze possono dipendere dalla genetica, dalla costituzione fisica, dalla salute generale e dalla funzione polmonare.
In sintesi, mentre il neonato possiede un riflesso di apnea che lo aiuta a sopravvivere in acqua per brevi periodi, l’apnea come abilità controllata e prolungata (come quella praticata dagli apneisti) non è innata. È il risultato di un apprendimento e di un allenamento specifici che permettono di sfruttare e potenziare al massimo le capacità fisiologiche del corpo umano.
Il feto nel grembo materno non respira nel modo in cui lo facciamo noi, cioè utilizzando i polmoni per scambiare ossigeno con l’aria. Questo perché nell’utero non c’è aria, ma il feto è immerso nel liquido amniotico.
Le prime apnee di Manuel:
La “respirazione” del feto avviene attraverso la placenta e il cordone ombelicale. Ecco come funziona:
- Ossigeno dalla mamma: Quando la mamma inspira, il suo sangue si arricchisce di ossigeno. Questo ossigeno viaggia attraverso il sistema circolatorio materno fino alla placenta.
- Scambio di gas nella placenta: La placenta è un organo temporaneo che funge da interfaccia tra la madre e il feto. Qui avviene lo scambio di sostanze: l’ossigeno e i nutrienti passano dal sangue materno al sangue fetale, mentre l’anidride carbonica (prodotto di scarto del feto) e altre scorie passano dal sangue fetale al sangue materno.
- Cordone ombelicale: Il sangue ossigenato e ricco di nutrienti arriva al feto attraverso la vena ombelicale, che fa parte del cordone ombelicale.
- Circolazione fetale speciale: Il sistema circolatorio del feto è adattato a questa modalità di “respirazione”. Ci sono delle vie di bypass (come il forame ovale e il dotto arterioso) che permettono al sangue di aggirare i polmoni fetali (che non sono ancora attivi per lo scambio gassoso) e dirigersi direttamente al resto del corpo.
- Eliminazione dell’anidride carbonica: L’anidride carbonica prodotta dal feto viene riportata alla placenta tramite le arterie ombelicali e da lì passa al sangue materno, che la espelle attraverso i polmoni della mamma.
Quindi, in pratica, è la mamma che “respira per due”, fornendo l’ossigeno e eliminando l’anidride carbonica anche per il suo bambino.
I polmoni del feto, sebbene non funzionali per lo scambio gassoso, si sviluppano progressivamente durante la gravidanza e si preparano per il primo respiro. Essi si riempiono di liquido e il feto compie anche dei “movimenti respiratori fetali”, che sono come degli esercizi per la muscolatura respiratoria, utili a maturare i polmoni per la vita fuori dall’utero.
Il vero primo respiro, quello autonomo, avviene solo immediatamente dopo la nascita, quando i polmoni si riempiono d’aria e il sistema circolatorio del neonato si adatta alla nuova modalità di ossigenazione.
I neonati respirano principalmente attraverso il naso, almeno per i primi sei mesi di vita. Questa è una caratteristica fisiologica importante che permette loro di coordinare la suzione, la deglutizione e la respirazione durante l’allattamento. La respirazione con la bocca si sviluppa gradualmente, ma in condizioni normali, la respirazione nasale è quella preferibile e più efficiente. Il naso, infatti, filtra, riscalda e umidifica l’aria prima che raggiunga i polmoni, offrendo una protezione maggiore contro agenti esterni e ottimizzando lo scambio di ossigeno.
Tutti questi fattori e il fatto che nei primi 12 mesi hanno ancora un ricordo dell’acquaticità facilitano l’insegnmaento dell’apnea.
La paura innata del soffocamento da acqua:
Molti genitori temono che il piccola possa subire danni se nei primi esercizi cade dai tubi o dai supporti e finisce in acqua. In realtà questo accade sempre ed è parte fondamentale dell’allenamento perché impari autonomamente a chiudere le vie aeree quando immerge la testa. Quando accade istruttori e genitori sono sempre accanto al piccolo e il tempo di intervento di 4/5 secondi (con alcuni genitori anche 1/2 secondi) fa si che il piccolo non abbia nemmeno tempo di bere.
Parlando scientificamente per essere esposto a rischi dovrebbe cadere, per 5/6 secondi ispirare tanta acqua a da non respirare e dopo 20secondi sarebbe a rischio annegamento. Ovvero non si corre alcun rischio, bisogna sempre essere partecipi, vigili e attenti intervenendo sempre con il sorriso e gesti lenti controllati senza mani far sentire il piccolo in pericolo.
In ogni caso prima di poter arrivare ai polmoni l’acqua arriva allo stomaco: la peggiore ipotesi saranno dei piccoli rigurgiti. Questo lo infastidirà insegnandoli ad evitarlo bloccano di suo le vie aeree appena la testa entra in acqua: in ogni caso la quantità di aria che è nei polmoni consente un’autonomia di 20/30 secondi prima di avere fame d’aria, valutiamo seriamente tutti questi fattori i rischi legati all’apprendimento scendono a zero.
Per potersi far male dovrebbe sfuggire al controllo e cadere, rimanere 20 secondi senza aiuti, a quel punto cercare aria e avrebbe ancora 20 secondi di tempo (tanto riportano i dati medici) prima di essere e rischio di soffocamento.
Per un bambino di 3 anni, si parla di questi tempi:
- Entro 20 secondi: un bambino può perdere conoscenza.
- Entro 3-6 minuti: possono verificarsi lesioni cerebrali irreversibili o il decesso.
È importante sottolineare che i bambini in difficoltà in acqua spesso non urlano e non si agitano come ci si potrebbe aspettare, ma tendono ad andare a pancia in giù e ad annegare silenziosamente.
C’è poi da ricordare che il corso di acqua motricità serve proprio a prevenire questi rischi: esposizioni brevi, controllate e in sicurezza porteranno il piccolo pian piano ad azzerare questi rischi portandolo non solo ad imparare a non bere e non respirare sott’acqua ma a passare in autonomia dalla camminata sul fondo al nuoto prendendo fiato a sufficienza prima di spingersi vero l bordo. Essere ben consapevoli dei rischi ci permette di gestire in totale sicurezza questo passaggio. Passaggio nel quale la tranquillità e la mancanza di paure nn necessarie aiuterà il piccolo ad imparare più in fretta ad eseguire l’apnea in sicurezza.
I risultati vi stupiranno:
La prova sul campo l’abbiamo fatta con Manuel dopo 10 mesi di SwimBabySwim (programma intensivo): facendo prove d allungamento delle distanze è già in grado di valutare la quantità d’aria necessaria a coprire la distanza dell’intera vasca. L’ho fatto due volte di fila e la seconda ha puntato la scaletta per uscire più agevolmente. Ha bevuto qualche volta come tutti i bimbi ma man mano il fastidio anche di bere un po’ (e rigurgitare subito) è passato lasciando spazio al divertimento.
Queste considerazioni servono a bn spiegare che a conti fatti il piccolo è più al sicuro in acqua che al parco giochi neonati: qui il sostegno dell’acqua gli permetterà di mettere alla prova qualsiasi tipo di movimento è più passerà il tempo e arriverà a toccare il fondo più sperimenterà cose che sa di non poter fare fuori dall’acqua.
Siate sempre di stimolo rassicuranti anche se e quando siete preoccupati o spaventati: lavoriamo per insegnare loro a cavarsela da soli, qui lo faranno in totale sicurezza sempre vigilati e coccolati.
Written By
Mauro Lattuada
Sono Mauro, papà di Manuel e nel bellissimo viaggio iniziato a Gennaio 2024, grazie alle ricerche e al lavoro attento di Marinella, la mamma, ad un certo punto abbiamo incontrato Elena e il metodo Swimbabyswim.